martedì 27 maggio 2008

Pavese, Joyce, Yeats

L’attaccamento alla propria terra

Il sentimento di attaccamento alla propria terra, luogo di ricordi, di esperienze irripetibili, coincise con le vicende personali ed artistiche di molti scrittori che riuscirono a trasportare sul foglio scritto le immagini fornitegli dalle stesse esperienze vissute sulla propria terra. Queste immagini particolari di ogni scrittore diventano letteratura quando si riesce ad esprimerle in maniera universale attraverso simboli, metafore, strutture narrative, trasformandosi in storie e personaggi.
Esemplare, in questo caso, è la figura di Cesare Pavese il quale ha lasciato un patrimonio incomparabile di racconti e poesie ambientate in un ambiente a lui più che familiare: le Langhe piemontesi e, più in generale, il Piemonte che ruotava intorno alla città cardine di Torino. È il Piemonte della indissolubile dicotomia tra campagna e città, della concretezza, della natura vista nella sua ferinità: sesso, sangue, morte, e il tutto si svolge fuori dal tempo in una dimensione difficilmente identificabile. Per comprendere appieno la “presenza biologica” e il “nodo di sangue e umori” che si nasconde dietro i versi delle poesie di Lavorare stanca e dietro i dialoghi tra i personaggi dei suoi racconti, è necessario ritrovare ed approfondire le relazioni che sussistono tra la stessa produzione di Pavese e gli studi antropologici ed etnologici, oltre che allo studio del linguaggio e dei miti.
È indubbio che la valle del fiume Belbo, le Langhe, le collinette di Canelli costituiscono le prime indissolubili radici biografiche di Pavese;
“Santo Stefano
è sempre stato il primo nelle feste della valle del Belbo e che le dicano
quei di Canelli”
inoltre è proprio da questi tasselli che lo scrittore piemontese costruisce le proprie storie e i caratteri dei suoi personaggi che riempiono i romanzi e i racconti. Una testimonianza importante del modo di pensare, di interpretare la realtà e dunque di scrivere di Pavese, è fornita, innanzitutto, dalla sua prima produzione della sua attività di scrittore, cioè la raccolta di poesie denominata Lavorare stanca. Questa raccolta rappresenta un punto di rottura con la tradizione poetica novecentesca sia dal punto di vista contenutistico, che da quello stilistico (distacco dalla tradizione ungarettiana e dalla poesia pura, uso del verso lungo). Sono invece evidenti i riferimenti alla tanto studiata letteratura americana e specialmente all’opera di Whitman e di Anderson. Si assiste quindi ad una trasposizione della metodologia e, specialmente, del linguaggio degli autori angloamericani cosicché si stabilisca una inossidabile relazione tra le vicende ambientate nelle Langhe e quelle dell’opera di Whitman. Innanzitutto il linguaggio della produzione poetica pavesiana e, più in generale, delle sue opere risulta aspro, diretto, antiaccademico, di stampo quasi verghiano (utilizzo di termini del lessico dialettale); si ha il passaggio da una poesia essenziale, chiara, oggettiva ad una poesia d’immagine dove coesistono naturalismo e simbolo;
“Vedo solo colline e mi riempiono il cielo e la terra
con le linee sicure dei fianchi, lontane o vicine.
Solamente le mie sono scabre, e striate di vigne
Faticose sul suolo bruciato. L’amico le accetta (…)
Per scoprirvi ridendo ragazze più nude dei frutti”
si dimostra fondamentale un’accurata analisi del linguaggio pavesiano, poiché permette di penetrare nella rappresentazione della realtà, la quale viene strutturata sui grandi temi della dicotomia tra campagna e città, terra e sangue.L’immagine del microcosmo pavesiano che viene fuori è un’immagine che nella sua presunta antiteticità, presenta elementi comuni. Il vocabolario delle poesie è incentrato su termini chiave che sono continuamente ripetuti e ribaditi - colle, sangue, donna, lavoro, terra, campagna, corsi, città- e intorno a questi ultimi si sviluppano i temi cari a Pavese dell’amore per la donna (amore per la terra), della fatica lavorativa, dell’amore-odio per la campagna, luogo nativo, dove persistono tradizioni antiche, quasi barbariche, se paragonate alla moderna e borghese Torino.I personaggi che animano i componimenti pavesiani appartengono alla sfera dei cosiddetti “esclusi”, gente che vive ai margini della società borghese cittadina - prostitute, ubriachi, pezzenti, operai- dotati di una forte umanità e di una sensibilità che spesso si oppone alla superficialità degli uomini borghesi. Naturalmente non mancano le naturalistiche rappresentazioni degli abitanti dell’ambiente rurale, colti nella loro naturale ruvidezza caratteriale, nel loro pragmatismo che li conduce a fatiche e lavori estenuanti sotto la calura estiva, mentre trebbiano il grano o mentre allevano le bestie, mezzo insostituibile per la sopravvivenza.
“Qualche volta compaiono file di ceste di frutta,
ma non salgono in cima: i villani le portano a casa
sulla schiena, contorti (…)
i villani scendono, salgono e zappano forte (…)
spossati dal lavoro dell’alba”
Il quadro che ne scaturisce rassomiglia per molti aspetti, oltre che alle descrizioni dei narratori americani, anche alla Sicilia verghiana e, soprattutto all’Abruzzo dannunziano delle Novelle della Pescara; se ne deduce che la situazione socioeconomica della campagna piemontese presenta carattere universale, simboleggiando così un luogo ideale in cui persistono tradizioni e riti di sapore arcaico e, in un certo modo, barbarico, in cui, inoltre, la terra assume carattere mitico, identificandosi con la donna e, quindi, con la madre.
Gli stessi temi affrontati in Lavorare stanca si ritroveranno, tre anni dopo, nei romanzi denominati “naturalisti” dallo stesso Pavese : Il carcere, Paesi tuoi, La spiaggia e La bella estate. Sono romanzi che non colpiscono per la loro “leggibilità”, ma che rappresentarono per Pavese la consapevolezza della sua scelta di narrare le vicende del microcosmo rurale delle Langhe. In particolare Paesi tuoi si può considerare un anticipatore delle tematiche che saranno affrontate dal nascente filone neorealista del cinema italiano. I modelli di riferimento continuano ad essere i grandi narratori americani, da cui Pavese mutua il linguaggio e una forza di espressione derivata dell’uso di dialoghi serrati tra i personaggi, segnati da battute brevi e notevoli influssi del gergo dialettale. Ancora una volta è il paesaggio a catalizzare l’attenzione del lettore ed ad essere il fulcro del romanzo; il paesaggio, magistralmente rappresentato dall’autore, incomincia con questo romanzo ad assumere connotazioni mitiche che si riveleranno con maggiore evidenza nei successivi romanzi.
“Rivedo la collina del treno. Era cresciuta e sembrava proprio una poppa, tutta rotonda sulle coste e col ciuffo di piante che la chiazzava in punta”
La campagna di Paesi tuoi pullula di sentimenti accesi e violenti, espressi da personaggi che, analizzati sapientemente da Pavese, mostrano la propria forza di volontà e la propria abnegazione che gli permette di sopravvivere in una realtà dura e difficile. La figura di Vinverra, padre padrone, è emblematica di una situazione rurale in cui la famiglia è dominata da un forte senso patriarcale, in cui la donna è atta solo alla procreazione ed all’allevamento dei figli, al contrario dell’uomo che lavora aspramente la terra, vero nucleo del microcosmo famigliare. In contrapposizione alla realtà contadina c’è Berto, il quale provenendo dal contesto cittadino si sente a disagio in un ambiente come quello della famiglia di Vinverra. Berto procede ad un osservazione critica di ogni minimo atteggiamento che ciascun componente del casolare assume, muovendo spesso critiche e risentimenti che lo porteranno a giudicare attentamente i componenti della famiglia sia da un punto di vista squisitamente fisico, sia da un punto di vista psicologico, attraverso i suoi pensieri e le sue riflessioni che denotano la sua profonda acutezza di spirito osservativo.
La linguistica moderna ha influenzato notevolmente gli studi antropologici ed etnologici, a tal punto che si parla di approccio emico, indicando con questo vocabolo l’assunzione da parte dello scienziato del modo di conoscere e descrivere la cultura proprio dei suoi membri, ai quali compete la verifica dell’accettabilità dei risultati ottenuti. Scrittori come Pavese, Joyce e Yeats si possono indubbiamente indicare come precursori di queste istanze della “nuova antropologia”, eleggendo come campo di ricerca il rapporto tra cultura, linguaggio e ambiente. Il linguaggio esprime la cultura, di conseguenza la lingua di un popolo riflette la sua visione del mondo e parlare lingue diverse significa vivere realtà diverse, sebbene ogni lingua possegga caratteristiche costruttive universali; prende corpo con questi autori la convinzione che esistano saperi locali la cui verità e falsità è imprescindibile dal rapporto tra uomo, ambiente, lingua e cultura. Il che porta al ruolo del significato quale elemento conosciuto, condiviso ed adoperato tra gli uomini nelle loro interazioni quotidiane per la trasmissione del sapere.
Le precedenti teorie, applicate da Pavese nell’ambito regionale piemontese, si ritrovano nello stesso modo in due autori appartenenti al contesto irlandese dei primi anni del novecento: James Joyce e William B. Yeats.
La situazione socio-politica in cui sono inseriti i due scrittori è quella di un’Irlanda che cerca decisamente l’autonomia dall’Inghilterra. A questo scopo si era dedicato il movimento di Parnell, volto alla conquista dell’Home Rule, una legge che garantiva un parlamento autonomo irlandese, in una sorta di autogoverno. Il movimento di Parnell fu però surclassato dalla nascita del Sinn Fein, che invocava l’indipendenza in forme più estremiste e ferocemente nazionaliste. La costituzione di eserciti clandestini (IRA in primis) provocò scontri sanguinosi fino al 1921, anno in cui il trattato anglo-irlandese sancì lo stato libero d’Irlanda, da cui restavano escluse le sei contee a maggioranza protestane dell’Ulster. In un ambiente così teso, la società che vien fuori dal romanzo di Joyce, Gente di Dublino, è praticamente statica, apatica caratterizzata dalla forte immobilità sociale. Il rapporto tra Joyce e la realtà irlandese è estremamente complesso; egli sembra rifiutare ogni legame con la patria, dal nazionalismo alle tradizioni celtiche e gaeliche. Ma, ad un’analisi profonda quasi tutta la produzione joyciana ha come fulcro l’Irlanda e specialmente Dublino, che è rappresentata con dovizia di particolari. Le categorie rappresentate nelle pagine del romanzo Gente di Dublino sono quelle della borghesia urbana e rurale con le maniacali abitudini quotidiane, immerse in ogni modo in un’atmosfera “polverosa” dovuta alla scarsezza di eventi sconvolgenti o importanti per i protagonisti. La rivalutazione di questo mondo a lui estremamente familiare, si mostra nel romanzo joyciano, attraverso la descrizione realistica del paesaggio (uso preciso dei nomi delle vie e dei quartieri di Dublino) ed anche presentando un ritratto dettagliato della popolazione borghese, colta nelle sue attività quotidiane. In “Gente di Dublino” Joyce accerta il fallimento della autorealizzazione dei personaggi, individuata in particolari psicologici. L’utilizzo di un linguaggio lontano dagli sperimentalismi dell’Ulisse, permette l’addentrarsi in una realtà “paralizzata” in cui gli abitanti sono intrappolati dalla frustrazione cui sono quotidianamente soggetti. L’uso, inoltre, minuzioso dei nomi dei posti, dei quartieri, dei pub, oltre ad evidenziare il realismo del romanzo, assume un importante significato simbolico. Un altro carattere importantissimo per quella società, che si rispecchia in alcuni episodi del romanzo, era il forte senso di appartenenza etnico-nazionale; questo nazionalismo era però riscontrabile prevalentemente in ambito culturale e non, fortunatamente, in ambito politico; storicamente in questo periodo si assiste alla rivalutazione della cultura celtica e gaelica con l’istituzione della Gaelic League e dell’Irish National Theatre Society in cui si sente l’influenza di Yeats.
Proprio Yeats è considerato il poeta nazionale dell’EIRE; il suo interesse nei confronti della sua nazione è suddivisibile in diverse branche:
1. Linguaggio: uso del dialetto anglo-irlandese
2. Folklore: riscoperta delle tradizioni celtiche (leggende, canzoni, ballate)
3. Paesaggio: scenari irlandesi; descrizione dei posti, idealizzazione dell’Irlanda
4. Storia: questione irlandese; ruolo del poeta e dell’intellettuale
Molte persone influirono sulla formazione poetica del giovane Yeats, tra cui Maud Gonne, Lady Gregory e John O’Leary; le stesse persone furono determinanti riguardo al suo interesse per le vicende della nazione. Le sue prime poesie appartenevano al repertorio romantico ma già erano animate da un grande attaccamento al paesaggio ed alle leggende della sua Irlanda, con un tono evocativo più che concreto.
“I will arise and go now, and go to Innisfree,
and a small cabin build there, of clay and wattles made (…)
and i shall have some peace there, for peace comes, dropping slow”
In seguito con la raccolta “Responsibilities” la sua poesia assume carattere “pubblico”; Yeats sostenne che i poeti devono smettere di dedicarsi ad una forma di internazionalismo vago ed astratto, ma devono sposare i tratti della natura che li circonda, i sentimenti dominanti di una razza e di un popolo. Il tono pubblico e polemico si estende anche alla poesia “Easter 1916” dove esplode la consapevolezza dell’importante momento che si sta vivendo. Yeats addirittura procede ad un elenco dei patrioti che fomentarono la rivolta, finendo per morire o per essere arrestati (Padraic Pearse, Thomas Mc Donagh, John Mc Bride, James Connoly).
“I write it out in a verse-
Mc Donagh and Mc Bride
And Connolly and Pearse
Now and in time to be,
wherever green is worn,
are changed, changed utterly:
a terrible beauty is born.”
La grandezza di Yeats comunque risiede nella sua capacità di portare a galla un fondo di tradizione celtica attraverso le sue poesie; a questo scopo furono indispensabili un accurato uso del linguaggio ed una azzeccata riscoperta di temi e di stili propri della tradizione irlandese come le ballate.

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