martedì 27 maggio 2008

GLOTTOLOGIA
CAMBIAMENTO LINGUISTICO:

è l’insieme delle modificazioni che ogni lingua subisce nel corso del tempo a ogni livello (fonologico,morfologico,lessicale, semantico, sintattico). Il cambiamento o mutamento linguistico è oggetto privilegiato della linguistica storica. La LINGUISTICA STORICA è una branca della linguistica interessata alla dimensione diacronica delle lingue che ha come oggetto di studio i fenomeni legati al cambiamento linguistico; la documentazione e la ricostruzione delle fasi antiche di una lingua; i rapporti fra le lingue geneticamente imparentate; l’etimologia.
La distinzione fra sincronia e diacronia teorizzata da Ferdinand De Saussure è uno dei principi della linguistica moderna. Sincronia e Diacronia non sono proprietà delle lingue ma punti di vista dai quali si possono considerare i fatti linguistici: la prospettiva diacronica li considera sul’asse della simultaneità, cioè per come si presentano in un dato momento a prescindere dall’evoluzione che li ha portati ad essere in quel modo. Un tipico esempio di ANALISI DIACRONICA è la ricostruzione della etimologia di una parola, mentre, nel descrivere una certa struttura sintattica dell’italiano di oggi si fa un’ANALISI SINCRONICA. Tuttavia non va confuso sincronico con attuale e diacronico con storico. Infatti si può compiere uno studio sincronico in fatti linguistici non attuali: ad es. descrivendo una certa struttura sintattica del latino; d’altra parte uno studio diacronico non è necessariamente storico nel senso corrente del termine che implica valutare il contesto sociale culturale politico ecc. in cui un fatto si inserisce. La linguistica dell’800 interessata soprattutto al mutamento linguistico e ai rapporti di parentela fra le lingue, è stata prevalentemente diacronica. I principali indirizzi del 900 hanno invece privilegiato la sincronia aderendo all’idea di De Saussure che la prospettiva sincronica è prioritaria sia per il linguista poiché è quella che consente di vedere la lingua nella sua sistematicità e di capirne il funzionamento sia per il parlante che nell’apprendere e nell’usare la lingua ha presente lo stato sincronico del sistema linguistico, indipendentemente dalla sua evoluzione, ad es. che la parola CANE derivi dal latino CANEM è irrilevante ai fini del’apprendimento e dell’uso di questa parola. Il tempo è infatti l’agente fondamentale del cambiamento linguistico.
Secondo il mito biblico della torre di Babele (Genesi; 11), la lingua primitiva dell’umanità sarebbe stata l’ebraico, cioè la lingua in cui Dio parlava ad Adamo, e gli uomini avrebbero cominciato a parlare lingue diverse per effetto della punizione divina lanciata da Dio contro il blasfemo tentativo dell’uomo di costruire una torre che giungesse fino al cielo. GENESI 11, Torre di Babele: Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’Oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennahar (Babilonia) e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: “venite , facciamoci i mattoni e cuociamoli al fuoco”. Il mattone servì a loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome per non disperderci su tutta la terra”. Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: “ecco essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. “scendiamo dunque, e confondiamo la loro lingua perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro.” Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire città. Per questo la si chiamò Babele perché là il Signore confuse le lingue di tutta la terra.

Questa spiegazione della diversità delle lingue fu accettata per molti secoli. Ipotesi alternative iniziarono ad essere formulate dal Rinascimento: tra queste ve ne furono alcune fantasiose come quella di un erudito del “5oo chiamato Gropius Bekanus che sostenne che il fiammingo fosse la lingua originaria di tutte le lingue del mondo. Altre ipotesi anticiparono scoperte successive:
Leibniz ipotizzò una famiglia di lingue giafetiche prefigurando quella che più tardi verrà chiamata famiglia linguistica indoeuropea. (Giafetico fa riferimento a Josef, patriarca biblico, la cui discendenza secondo la Bibbia, popolò l’Europa e l’Asia. Solo agli inizi dell 800 con lo studio della parentela genealogica delle lingue e del loro mutamento attraverso il tempo si iniziò il vero e proprio studio del cambiamento linguistico, a cui si dette il nome di linguistica storica o storico-comparativa. Ma già molto tempo prima era stata abbandonata la spiegazione biblica: ad es. il De Condillac 1715-1780 ipotizzò che il linguaggio avesse avuto origine da suoni primitivi, principalmente grida, espressioni di emozioni. Ma gli studiosi dell 800 non si preoccuparono più di spiegare come e perché fossero nati suoni e parole delle lingue originarie, ma si interessarono unicamente a ricostruirli sulla base della comparazione delle lingue da esse derivate. Del resto, come abbiamo osservato, la Società Linguistica di Parigi, all’atto della sua fondazione decise che non sarebbero state accettate comunicazioni che riguardavano l’origine del linguaggio. Oggi, il problema dell’origine del linguaggio è tornato di moda, grazie al supporto fornito dagli studi di biologia e in particolare di genetica. Una delle ipotesi più comunemente accettate è che l’origine del linguaggio nella specie umana sia, almeno in parte, dovuto all’aumento proporzionale del peso del cervello, rispetto all’intero peso corporeo durante l’evoluzione dell’ homo sapiens. Questa ipotesi è stata scartata da alcuni sulla base ad es. del fatto che i delfini hanno un cervello di dimensioni paragonabile a quello umano, ma certo non posseggono un sistema di comunicazione comparabile al linguaggio umano. In sostanza, il problema dell’origine del linguaggio umano non può essere considerato scientifico e resta distinto dal problema della ricostruzione delle lingue originarie. Inoltre, occorre tener presente che non esistono lingue più primitive di altre: anche popolazioni di cultura molto primitiva, almeno rispetto agli standard occidentali, come gli indigeni dell’Amazzonia e della Nuova Guinea parlano lingue ugualmente complesse come quelle dei popoli di più antica civilizzazione. Lo stesso vale per le lingue originarie di una determinata famiglia linguistica: esse sono costruite sulla base delle lingue che ne discendono, e quindi non dimostrano alcun tipo particolare di primitività. Un altro tratto che distingue la linguistica moderna dai suoi predecessori pre-ottocenteschi è la rinuncia a qualunque ipotesi catastrofista per spiegare il mutamento linguistico, come il mito babelico che vede la differenziazione delle lingue per punizione divina, oppure, le spiegazioni dell’umanista del 400 Flavio Biondo che sosteneva la trasformazione del latino nell’italiano per effetto delle invasioni barbariche dell’Italia, specialmente quella longobarda. Un altro umanista poi, Leonardo Bruni, sostenne che l’italiano era sempre esistito ed era semplicemente la forma volgare parlata dal popolo, anche in epoca latina.
Questi sono tutti tentativi di assumere la necessità di una causa esterna del mutamento linguistico.




Ma è Dante il primo ad individuare la causa dei mutamenti linguistici nello scorrere del tempo (De Vulgari Eloquentia, libro I, cap 9)
La linguistica storica assume una posizione analoga a quella di Dante:il tempo in sé stesso è sufficiente a produrre il mutamento linguistico.
Il trattato di Dante, composto probabilmente fra il 1804 e il 1808, è scritto in Latino perché indirizzato ai dotti sostenitori della lingua di Roma. Doveva esser formato da 4 libri ma rimase interrotto al capitolo 14 del II libro. Qui Dante si propone di ricercare quale debba essere la forma nobile e perfetta della lingua letteraria italiana e di dettare le norme per il suo uso. Secondo Dante dopo la confusione delle lingue al tempo della torre di Babele l’unico linguaggio usato era l’ebraico iniziato da Abramo con la parola EL che significa Dio. Le genti che vennero in Europa introdussero nella parte meridionale le tre lingue: lingua d’oc d’oil e del si; nelle regioni settentrionali introdussero le lingue germaniche; nelle regioni orientali introdussero il greco. La disparità fra le lingue portò, poi, alla ricerca di un linguaggio comune detto grammatico o letterario, cioè il latino universale immutabile che segue, secondo Dante, e non precede i volgari, i quali, perciò non dovrebbero essere chiamati lingue neolatine. Dante riteneva che a somiglianza del latino anche in Italia si dovesse avere un volgare illustre che assorbendo i 14 dialetti della penisola, splendesse di luce propria su di essi; questo volgare illustre detto anche cardinale, cioè cardine base di tutti gli altri o aulico, cioè lingua di corte o curiale, cioè quello della curia dove si amministra, si giudica, si applicano leggi. Ma Dante non risolve il problema, perché accenna piuttosto vagamente all’esistenza di un volgare illustre che si era formato alla corte palermitana di Federico II con il concorso di tutte le parlate d’Italia senza risiedere in nessuna di esse.
Nel II libro, Dante tratta delle 3 specie di stili: 1) stile tragico: è quello della canzone, a cui si addice il volgare illustre, che deve essere usato solo dagli uomini di scienza e di ingegno, scrittori e poeti che trattino argomenti elevati, quali l’amore , le virtù , le armi; 2) stile comico: è quello della ballata e del sonetto; 2) stile elegiaco: è quello delle forme liriche più modeste, a cui conviene un volgare più dimesso, adoperato per argomenti meno elevati. Dante parla poi di versi in particolare del quinario, settenario e endecasillabo e della struttura metrica della canzone, ritenuta la forma lirica più nobile. Il De Vulgari Eloquentia , che è il primo trattato di filologia e poetica nelle lingue romanze, ha notevole interesse scientifico, anche se, accanto ad alcune intuizioni accolte dalla linguistica moderna, si trovano delle ingenuità, delle idee e pregiudizi tipici del medioevo. Ciò nonostante, quest’opera deve essere considerata da una parte documento del formarsi spirituale della nazionalità italiana e dall’altra soprattutto documento della formazione artistica di Dante, che in quel libro “pose e difese un ideale di lingua e di stile, il volgare illustre, conforme al proprio sentire, quale fu in tempi recenti e con diverso sentire per il Manzoni l’ideale della lingua fiorentina”. (B. Croce)



De Vulgari Eloquentia, libro I, cap. 4 Dante dice: -Solo all’uomo è stato dunque concesso di parlare, come appare da quello che fin qui si è visto. Ora credo di dover indagare a che per primo fra gli uomini, sua data la lingua, e che abbia detto per prima cosa, a chi, dove, quando e infine in quale idioma siano state pronunciate le prime parole. Secondo quello che dice il libro della Genesi al principio, dove la sacra scrittura tratta delle origini dell’uomo, sarebbe stata una donna a parlare prima di tutti, cioè la presuntuosissima Eva quando rispose alle tentazioni del diavolo “noi ci nutriamo dei frutti degli alberi che sono in paradiso, ma il frutto dell’albero, che si trova nel mezzo del Paradiso, Dio ci ha ordinato di non mangiarlo e toccarlo perché non ci accada di morire.” Anche se nelle scritture si trova che ad aver parlato per prima sia stata una donna è ugualmente più ragionevole credere che ad aver parlato per prima sia stato un uomo. In effetti non è congruo pensare che un così egregio atto del genere umano sia opera prima di una donna che di un uomo, ritengo perciò ragionevole che allo stesso Adamo sia stato di parlare per primo, da Lui, che proprio allora lo aveva plasmato. Che cosa poi la voce del primo parlante abbia detto per la prima volta non dubito che a ogni uomo saggio venga subito in mente essersi trattato di Dio, ovvero El (ebraico) in forma di domanda o di risposta. Sembra assurdo e irrazionale che dall’uomo sia stato nominato qualcos’altro prima di Dio, poiché da lui e per lui fu creato, infatti, come dopo la ribellione dell’umano genere ognuno comincia a parlare con un “ahi” così è ragionevole che le parole dette prima comincino dalla gioia e, poiché non vi è alcuna gioia fuori di Dio ma tutta è in Dio, ma lo stesso Dio è tutta gioia, ne consegue che il primo parlante per prima cosa abbia detto innanzitutto “Dio”. Nasce ora un problema: visto che abbiamo detto sopra che il primo uomo parlò in forma di risposta, rispose egli a Dio? Infatti se rispose a Dio, allora, avrebbe parlato per primo Dio e ciò sarebbe in contraddizione con quanto abbiamo già accennato. Si può tuttavia replicare che poté ben rispondere a una domanda di Dio, ma non per questo Dio dové aver parlato proprio in quella che è per noi una lingua. Chi potrebbe infatti dubitare che tutto sia pieghevole al centro di Dio, che ogni cosa fa, conserva e governa? Perciò se a tanti perturbamenti l’aria si muove per volere della natura inferiore che è ministra e creatura di Dio sì che rimbomba il tuono, scocca il lampo, scende la pioggia, cade la neve, precipita la grandine, non poteva forse essa muoversi al comando di Dio per far risuonare parole, quando le scandiva e le distingueva proprio Colui, che cose ben più grandi separò e distinse. A questo e ad altri dubbi credo, dunque, che bastino queste considerazioni.-
De Vulgari Eloquentia, libro I, cap. 5 “ Il luogo della parola”:
-Ritenendo, non senza ragionevoli motivi desunti tanto da quanto già detto in precedenza che da quello che si dirà più avanti, che il primo uomo abbia per la prima volta indirizzato la sua parola a Dio stesso, preciso, sviluppando il ragionamento, che il primo parlante parlò subito, appena ricevuto il soffio dello spirito di vita. Credo infatti che nell’uomo è più specifico farsi sentire che sentire purché sia sentito e senta in quanto uomo. Se perciò, quel creatore, principio di perfezione e d’amore, col suo spirito, riempì di ogni perfezione il primo uomo, mi sembra ragionevole che il più nobile degli esseri viventi abbia cominciato prima a farsi sentire che a sentire. Se si controbbiettasse che non occorreva che Adamo parlasse perché era solo e perché Dio conosce senza bisogno di parole tutti i nostri segreti, persino prima di noi stessi, dirò, con quel rispetto che è d’obbligo quando si discute con la summa volontà che per quanto Dio sapesse anzi,


presapesse, il pensiero del primo parlante senza bisogno di parole, tuttavia volle che quello parlasse perché esibendo un tal dono rendesse gloria a Colui che glielo aveva dato gratuitamente. È perciò da credere che sia in noi d’origine divina, la gioia che proviamo nell’attuare a giusto fine le nostre specifiche caratteristiche. E da questo possiamo pienamente dedurre in quale luogo sia stata emessa la prima parola: perché se l’uomo è stato creato fuori dal Paradiso, avrà parlato per la prima volta fuori di esso, e se invece è stato creato dentro allora è provato che la prima parola fu pronunciata dentro di esso.-
De Vulgari Eloquentia, libro I, cap. 6: Poiché la vicenda umana si svolge in moltissimi e ben diversi idiomi, così che molti con molti si intendono tanto con le parole che senza, sarà bene ora muovere alla ricerca di quell’idioma che si pensa abbia usato l’uomo che non ebbe né madre, né balia e non conobbe né fanciullezza né adolescenza. Questo è uno di quei casi in cui una qualsiasi piccolo villaggio diventa una città, grandissima patria della maggior parte dei figli di Adamo. Infatti chiunque è tanto stolto da credere il suo paese nativo il più bello che esista al mondo, costui preferisce anche più di ogni altro il proprio volgare, cioè la propria lingua materna e per conseguenza crede che sia stato proprio quello usato da Adamo. Ma io che ho per patria il mondo come i pesci l’acqua, per quanto abbia bevuto in Arno prima ancora di mettere i denti e ami Firenze al punto che avendola troppo amata soffro ingiustamente l’esilio, io debbo soppesare il giudizio più con la ragione che col sentimento. E sebbene per il mio piacere e per l’appagamento dei miei sensi non ci sia in terra luogo più bello di Firenze avendo letto e riletto le pagine dei libri dei poeti e degli altri scrittori la dove il mondo è descritto nella sua complessità e nelle sue parti, e ripetutamente pensato tra me e me le differenti varietà dei luoghi della terra e la loro posizione rispetto ai due poli e all’equatore ne sono convinta e ora con sicurezza sostengo che sono molte le regioni e le città più nobili e più belle della Toscana e di Firenze di cui sono nativo e cittadino e quindi che ci sono molte stirpi e genti che usano una lingua più piacevole più funzionale di quella degli italiani. Tornando dunque al nostro argomento dico che da Dio fu creato insieme con la prima anima una data forma di linguaggio e dico forma sia quanto ai vocaboli delle cose che quanto alla loro sintassi e morfologia; questa forma sarebbe usata ancora oggi da ogni lingua che parla se per colpa della presunzione umana essa non fosse stata dispersa come vedremo. In questa forma di linguaggio parlò Adamo; in questa parlarono i suoi discendenti fino alla costruzione della Torre di Babele, che significa “Torre della Confusione”; questa hanno ereditato i figli di Eber che da lui furono chiamati Ebrei; Soltanto a costoro rimase dopo Babele affinché il nostro redentore, che da essi doveva nascere secondo la carne, potesse usare non una lingua della confusione ma quella della grazia. Fu dunque l’idioma ebraico che fabbricò le labbra del primo parlante.
De Vulgari Eloquentia, libro I, cap. 7: Dunque l’uomo presunse nel suo cuore sotto la suggestione del gigante Membrat di potere con la propria arte non solo superare la natura ma il fattore stesso della natura, Dio, e cominciò ad edificare una torre che in seguito fu detta Babele, cioè confusione, con la quale sperava di salire al cielo intendendo così non solo di eguagliare ma anche di superare il suo creatore. Quasi tutto il genere umano era dunque convenuto a quell’opera di iniquità: alcuni dirigevano i la lavori, altri li progettavano, alcuni costruivano i muri altri li squadravano, livellandoli e intonacandoli con le spatole; c’era chi attendeva a spaccare le pietre e chi a trasportarle per mare e per terra, altri gruppi erano addetti a diverse mansioni, quando dal cielo furono colpiti da una così grande confusione che mentre tutti usavano in quel cantiere una sola identica lingua, differenziati in molte lingue, dovettero rinunciare all’impresa e mai più poterono ritrovarsi in


un’opera comune, infatti solo a quelli che facevano uno stesso lavoro rimase una lingua identica; cioè una per tutti gli architetti; una per tutti quelli che trasportavano i massi ; una per tutti quelli che li lavoravano e così accadde per ogni gruppo di addetti. Di conseguenza quante erano all’opera le differenti competenze, altrettanti furono gli idiomi in cui si divise il genere umano e quanto più importante era il lavoro che si faceva, tanto più cominciarono a parlare una lingua razza e barbara. L’idioma sacro rimase solo a quelli che erano presenti, né avevano apprezzato l’impresa ma anzi, pesantemente detestandola deridevano la stoltezza di chi lavorava. Questa minima parte, minima quanto a numero, fu, a mio giudizio della gente di Sion, il terzo figlio di Noè, da questa nacque il popolo di Israele che usò quell’antichissima lingua fino al tempo della sua dispersione.
De Vulgari Eloquentia, libro I, cap. 8: Credo, non senza buon argomenti che dalla su ricordata confusione delle lingue gli uomini siano stati allora per la prima volta dispersi in tutti gli angoli del mondo, nelle zone climaticamente più abitabili e in quelle più remote e poiché la radice principale dell’umana progenie è piantata nelle terre orientali e da lì, da una parte all’altra la nostra razza si è estesa e diffusa attraverso molteplici tralci e infine è pervenuta alle terre d’occidente forse allora per la prima volta gole di esseri razionali si abbeverarono ai fiumi di tutta Europa, o almeno ad alcuni di essi. Ma, sia che stranieri fossero allora arrivati per la prima volta in Europa o che di essa nativi ritornassero gli uomini, portarono con sé un idioma triplice: di essi alcuni occuparono le regioni meridionali , altri quelle settentrionali d’Europa; il terzo gruppo oggi chiamata greco occupò terre in parti europee e in parti europee e in parti asiatiche. In seguito, come vedremo più avanti da uno stesso e identico idioma ricevuto nella confusione punitrice trassero origine diversi volgari. Infatti tutta la zona che va dalle foci del Danubio ebbe un unico idioma peraltro, poi, distintosi nei diversi volgari degli Slavi, degli Ungheresi, i Tedeschi, dei Sassoni, degli Inglesi e delle molteplici altre nazioni che conservano della comune origine quasi solo questo segno: che tutti, più o meno i suddetti rispondono affermativamente a una domanda con “iò”. (Si). Da dove comincia il territorio di questo idioma, cioè dai confini dell’Ungheria verso Oriente un’altra lingua occupò tutto quello che da quel punto si chiama Europa e si è estesa anche oltre. Tutta quella parte di Europa, poi, che resta fuori da questi due idiomi fu occupata da un terzo, peraltro, ora tripartito infatti alcuni dicono per affermare “oc”, “d’oil”, del “si”, e cioè gli Spagnoli, i Francesi e gli Italiani. Ma il segno che i volgari di queste tre popolazioni traggono origine da uno stesso idioma è subito chiaro perché nominano molte nazioni con le stesse parole come Dio, cielo, amore, mare, terra ecc. Di queste genti quelle con lingua d’oc occupano la parte occidentale dell’Europa meridionale cominciando dai confini dei genovesi. Quelle della lingua del si si dispongono dai suddetti confini verso oriente fino a quel promontorio d’Italia da cui comincia l’insenatura dell’Adriatico e arrivano fino in Sicilia. Infine le popolazioni della lingua d’oil sono in un certo senso a nord di queste: infatti hanno a oriente i Germani e a ovest e a nord sono chiusi dal mare d’Inghilterra e all’estremo limite hanno i Monti D’Aragona; a mezzogiorno confinano con i Provenzali e con lo spluviale delle Alpi Pennine.
De Vulgari Eloquentia, libro I, cap. 9: Cambiamento Linguistico Ora debbo mettere alla prova tutte le risorse della mia mente perché voglio misurarmi con un argomento in cui non mi soccorre alcuna autorità e cioè con la variazione seguita dall’unico e identico idioma nazionale. E, poiché si va meglio e più rapidamente per la vie più note, ci metteremo sulle tracce del solo nostro idioma, tralasciando gli altri: infatti ciò che è causa razionale di uno può ben essere causa anche degli altri. Dunque la lingua di cui andiamo trattando è triplice come sopra si è detto: infatti alcuni dicono “oc”, alcuni “oil”, altri “si”. E che sia stata una lingua unica all’inizio della dispersione appare dal fatto che concordiamo in molte parole come mostrano i maestri di eloquenza …………………………………………………]]]]]]]

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